Allora forse non ameremmo mai davvero l’altro per ciò che è, ma solo per ciò che vogliamo che sia.

In questa visione, l’amore non sarebbe un incontro, ma uno specchio: vedremmo nell’altra persona le parti mancanti di noi stessi, le speranze che non abbiamo il coraggio di realizzare da soli, i sogni che ci illudiamo di poter vivere solo attraverso qualcun altro.

Ci innamoreremmo, così, non della verità dell’altro, ma della nostra fantasia. E quando la realtà iniziasse a sbiadire quel riflesso — quando la persona amata rivelasse la sua vera complessità, le sue imperfezioni, la sua autonomia — sentiremmo crollare qualcosa. Non perché l’amore sia finito, ma perché l’illusione si è dissolta.

Ma forse… non è proprio lì che inizia il vero amore?

Quando la proiezione svanisce, e cominciamo a vedere l’altro davvero. Quando smettiamo di cercare completamento e iniziamo a costruire connessione. Quando ci innamoriamo non di ciò che desideriamo, ma di ciò che esiste — fragile, sorprendente, libero.

Quindi sì… forse l’amore nasce da un desiderio. Ma cresce solo se troviamo il coraggio di guardare oltre di esso.